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Cronache catalane: amore e musica a Barcellona

Non mi lancerò in un sterile racconto della tre giorni del Primavera Sound.

Un po’ perché son certo che amicizie prestigiose se ne occuperanno con dovizia di particolari e precisione nel racconto di quanto successo sopra i palchi, ma soprattutto perché in questa trasferta catalana il Primavera è stato solo una parte di un’esperienza che è destinata a diventare dolce ricordo che mi porterò dietro.

Per come è nata, per come s’è svolta. Per la persona con cui l’ho vissuta.

Nel percorso d’avvicinamento ai trent’anni mi ritrovo nella condizione di avere l’esigenza forte, fortissima di infoltire la mia personale galleria di ricordi. Non rinnego certo il passato però mi rendo conto giorno dopo giorno quanto questo sia piatto rispetto al presente, motivo per cui sento l’esigenza quasi viscerale di riempire, una dopo l’altra, pagine e pagine del mio album di esperienze e di vita.

Insomma come iniziare a vivere a 27 anni e prenderci gusto.

È singolare la progressione con cui ho iniziato a realizzare tutta una serie di desideri che ho covato dentro per anni senza avere la possibilità di concretizzarli.
Una escalation iniziata un paio d’anni fa ascoltando i Gossip e i Battles, poi con il Sorpasso e la conoscenza di una serie di persone che in un modo o nell’altro sono state presenti in momenti che di lì in poi si sarebbero rivelati per me davvero importanti.
Poco più di un anno fa conoscevo Giulia. L’estate scorsa sentivo i Blur in quel di Hyde Park. Ho ascoltato i Wilco in quel di Firenze. Per dire.

Un ultimo anno di stravolgimenti, un anno in cui ho prodotto, ho sognato, ho vissuto una vita piena di emozioni, veloce, furiosa, a tratti disperata, a tratti semplicemente meravigliosa.
E la settimana scorsa partivo per Barcellona in vista del Primavera Sound.

Come qualcuno di voi sa, la trasferta catalana è diretta conseguenza del regalo di compleanno che Giulia mi diede il Dicembre scorso. Per due anni ho sognato di esserci. E finalmente il sogno s’è avverato anche se, come vi dicevo prima, il Primavera s’è rivelato essere solo una parte di qualcosa più importante, grande e piacevole.

Perché prima di quello, anzi in concomitanza, mi sono goduto Giulia e Barcellona dopo giorni di massacro lavorativo, mentale e fisico totale. Ero arrivato alla frutta. Davvero.

Ora che sono a casa dietro lo schermo del mio computer a lavorare ai vecchi fottutissimi ritmi e a scrivere nei ritagli di tempo, non faccio altro che pensare alla luce sopra Barcellona, alle strade, alla gente. A quel continuo vento che spirava costante. Presente ma leggero. A tratti confortante, a tratti congelante.
Alle passaggiate lungo il porto, le mangiate di pesce, i localetti scovati per caso.
Ad un’esibizione dub improvvisata tra le barche ormeggiate e la strada.
Il sole che tramonta verso le dieci. L’amore. Sì, tanto amore.

Piccoli grandi momenti di felicità di cui avevo assoluto bisogno.

E poi i concerti, l’organizzazione titanica che c’è dietro un festival così grande, le file ordinate della gente per i voucher per i drink, la presenza di mille colori, mille tipologie di personaggi in quel del Parc del Fòrum. Il tempo che variava di giorno in giorno e quel senso di serenità che invece non ti abbandonava mai.

Tre giorni di concerti.
Tre giorni che son sembrati molti di più e allo stesso tempo tre giorni che son sembrati essere uno solo. Tre giorni di gioia, di un calore interno e profondo che compensava tutto: gli sbalzi termici, la stanchezza. Tre giorni che mi sembrano ora troppo pochi. Un po’ come quando si pensa alla spensieratezza delle vacanze e, arrivati al termine di queste, si ripensa al rientro in città, alla scrivania, al lavoro.

Una overdose di luci, suoni e amore appunto. I Wave Pictures, gli XX, i Broken Social Scene. I Delorean e i Pavementche ci siam persi. Tanta roba da lasciare storditi.

Per non parlare dei gruppi sentiti il secondo e il terzo giorno: Spoon, Wilco.
Roba da andare sotto il palco in qualche modo (c’era tanta tantissima gente) e piangere ringraziando una qualche divinità del momento.
I Pixies. Cristo santo, ora posso dire che nella mia vita ho sentito dal vivo i Pixies.

I tanto chiaccherati The Drums. Poi i Grizzly Bear e i Built to Spill: i primi che per quanto mi riguarda si son prodotti nella performance più emozionante; i secondi, che ormai son come quei cugini più grandi per cui stravedi da sempre e che ti fa tanto piacere rivedere quando (raramente) se ne presenta occasione, hanno chiuso idealmente la parte “grossa” della mia personale lista dei “must”.

Conoscere gruppi nuovi, di cui hai sentito parlare o di cui hai avuto modo di sentire solo qualcosina. Penso ai Real Estate, a quei cazzo di Nana Grizol di cui mi piaceva tanto la magliettina nera.
Ce n’era per tutti i gusti.
Anche differenti momenti di storia della musica, con un personaggio del calibro di Lee Perry a far ballare le persone dal palco: intendiamoci, reggae e ska non mi sono mai piaciute particolarmente ma vuoi mettere anche in questo caso l’aver assistito con i tuoi occhi e aver ascoltato con le tue dannate orecchie quello che è una leggenda della musica mondiale?

Una delle tante incrociate quei giorni.

Una delle tante che ti permettono di vantarti dicendo il fatidico “io c’ero”.
Ogni momento, ogni canzone, anche le pause hanno contribuito a rendere speciale questa esperienza. Così importante, così forte.

Arrivare all’ultimo giorno, all’ultima esibizione.
Muoversi verso i cancelli, guardarsi attorno e sospirare.
Abbracciarsi, stringersi forte.

Avere la consapevolezza di aver vissuto un’esperienza grandiosa, di quelle che a vederle da fuori ti fan sentire piccino e intimorito da quanto sono imponenti e distanti, ma che una volta vissute e portate termine ti fanno sentire più grande, più maturo.
Come dire, più “compiuto”. Roba da ultimo giorno di scuola con la classe nella quale sei diventato quello che eri destinato ad essere.

Di questa esperienza vi potrei raccontare di altri mille piccoli e grandi aneddoti, dei calamari fritti più buoni del pianeta, delle bombe di patate, di come ci hanno chiuso dentro la nostra stanza d’albergo. Di quanto Giuditta e Caizzy ci abbiano fatto ridere. Delle “scale lynchiane”. Di come ci stupivamo della capacità di una nostra amica di riuscirci a trovare nel mezzo della bolgia più assoluta. Una serie di momenti di cui ora mi trovo a sentire una grossa mancanza.
Il classico “mancarone”.

E invece senza cadere nella classica depressione da rientro dalle vacanze, decido di chiuderla qua, arricchito da un’esperienza che, senza alcuna retorica, ha riportato in noi una felicità che le avversità recenti avevano messo duramente alla prova.

Musica, felicità e amore. Sì, mi ripeto. Tanto, tantissimo amore.

Delorean – Stay Close [mp3]

Real Estate – Fake Blues [mp3]

Nana Grizol – Galaxies [mp3]

Grizzly Bear – About Face [mp3]

Built To Spill – Hindsight [mp3]

(image via bryenh – check out the whole set)

4 risposte su “Cronache catalane: amore e musica a Barcellona”

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