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La prima settimana di una lunga serie

Questi sono giorni strani ma di uno strano che non riesco neanche a spiegare, probabilmente perché è la percezione del tempo e degli eventi che mi frega: fino a qualche giorno fa mi pareva di vivere al rallentatore quando tutto il resto del mondo andava avanti spedito mentre oggi sembra quasi l’opposto. Vivo sensazioni contrastanti, come il sole caldo che ho visto dalle finestre di casa questi giorni e un freddo, dentro, che mi fa sentire come se fossi disperso da qualche parte vicino il Circolo Polare Artico.

Non sto andando in ufficio perché ho l’opportunità di poter lavorare da casa (che per il tipo di lavoro che faccio non è assolutamente una novità, anzi si potrebbe dire che sono un esperto… ) e ho un sacco di cose da finire al punto da non fare quasi in tempo a distrarmi.
L’attività è continua, apparentemente più che nei periodi della normalità (il tempo speso per gli spostamenti evidentemente aiuta a “spezzare”) eppure tutto ha una velocità diversa, sembra di vivere in una dimensione nella quale il tempo si muove diversamente.

La mia incasinatissima postazione da lavoro qua a casa

C’è silenzio, un silenzio che cerco di riempire ascoltando tanta musica, provando a sentire gli amici: cerco di scrivergli, ci scambiamo messaggi. Proviamo a sdrammatizzare, anche se percepisco chiaramente che la voglia di ridere sta passando a tutti.

Poi c’è la paura. La paura per il contagio, la paura di farsi male anche con un piccolo incidente domestico, il terrore che qualcuno dei propri cari si possa ammalare. Tipo mia mamma, che domenica festeggia il compleanno e che non potrò vedere.
La paura di Giulia (anche lei immersa nella stessa situazione lavorativa con ritmi decisamente più serrati) che provo a tamponare anche solo con degli abbracci silenziosi perché, sinceramente, cosa puoi dire di realmente sensato di fronte a qualcosa davanti alla quale sei totalmente impotente?

Dicevo la paura, la paura di stare male e la paura per l’immediato futuro, per il lavoro, per una economia che farà fatica a ripartire con tutte le conseguenze che ciò porterà sulle aziende e quindi a cascata sulle attività tipo la mia.

C’è appunto la paura e dall’altra l’assurda sensazione di essere scollegati da tutto il disastro che c’è là fuori, chiusi al sicuro delle proprie mura domestiche. Perché noi una casa ce l’abbiamo mentre c’è tanta gente che invece è per strada. Ma questo è un altro discorso.

Infine è arrivata l’amarezza: per gli atteggiamenti della gente, per la fine dell’illusione europeista a cui sto assistendo, l’improvvisazione, il qualunquismo. Le tante, troppe certezze con cui sono cresciuto e dietro cui mi sono parato stanno venendo meno abbandonandomi ad un senso di smarrimento che mi inquieta.

Quella che stiamo vivendo è probabilmente l’esperienza più terrorizzante, alienante e al contempo surreale mai vissuta da quelli della mia generazione, noi che non abbiamo sofferto direttamente le guerre, che eravamo troppo piccoli per avere piena consapevolezza del disastro di Chernobyl, cresciuti in un contesto mediatico lontano anni luce dall’attuale col bombardamento audiovisivo cui ci sottoponiamo più o meno consapevolmente tutti i giorni grazie alla Rete e (in misura sempre più minore) alla televisione. Nonostante anni e anni di blockbuster catastrofici visti al cinema e alla TV che evidentemente non ci hanno insegnato proprio niente.

Photo by Annie Spratt on Unsplash

Sarà dura mettersi alle spalle tutto questo.

Con gli altri ragazzi a lavoro ci carichiamo l’un l’altro con la voglia di farci trovare pronti nel momento in cui dovremo ripartire, con cattiveria e decisione.
Ce la faremo, siamo forti e abbiamo le spalle larghe.

A casa poi torneremo alla normalità, riprendendo il solito trantran per cui ci si vede solo la sera e si passa del tempo assieme solo il fine settimana.

via Sky TG24

“Andrà tutto bene” recita l’incoraggiamento che tutti gli italiani si stanno facendo. Forse non proprio tutto, è vero, ma passerà anche questa nonostante i segni profondi che queste giornate ci stanno lasciando addosso.